L’Agenzia delle Entrate, con le risposte agli interpelli n. 128 e 129 del 23 aprile 2019, ha chiarito che, con la definizione agevolata ex articolo 6 D.L. 119/2018 della controversia avente ad oggetto l’avviso di accertamento per il recupero dell’Iva indetraibile in capo al cliente, il procedimento può considerarsi concluso in via definitiva al momento del passaggio in giudicato della pronuncia giurisdizionale che dichiara l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere a seguito della definizione agevolata; conseguentemente il fornitore è legittimato, in applicazione dell’articolo 30-ter, comma 2, D.P.R. 633/1972, a presentare domanda di restituzione entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cliente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

Nell’occasione, l’Agenzia ha precisato, altresì, che la previsione del citato comma 2 dell’articolo 30-ter D.P.R. 633/1972, introdotta dalla L. 167/2017 (Legge europea 2017), ha efficacia retroattiva, essendo applicabile anche alle vicende anteriori al 12 dicembre 2017 (data di entrata in vigore della disposizione).

L’indicazione è assolutamente condivisibile e a analoghe conclusioni valgono in relazione ad altre modifiche della disciplina italiana dovute all’adeguamento della normativa interna a quella unionale di riferimento e/o alla sua interpretazione da parte della giurisprudenza della Corte di giustizia.

Si pensi, per esempio, alle modifiche del regime di non imponibilità per i servizi relativi a beni in importazione, oggetto di intervento da parte del legislatore nazionale con la L. 115/2015 (Legge europea 2014) e, da ultimo, con la Legge europea 2018, approvata in via definitiva dal Senato il 16 aprile 2019.

Il richiamato comma 2 dell’articolo 30-ter D.P.R. 633/1972 – secondo cui, “nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa” – ha inteso recepire i princìpi espressi dalla Corte di giustizia nella causa C-427/10 del 15 dicembre 2011 (Banca Antoniana Popolare Veneta), risolvendo – tutelando i princìpi di effettività e di equivalenza – il disallineamento dei termini di rimborso a disposizione, rispettivamente, del fornitore e del cliente.

Sulla questione dell’applicazione in fattura di un’Iva o una maggiore Iva non dovuta, è noto, infatti, che il fornitore ha, a pena di decadenza, due anni di tempo dal pagamento dell’imposta per attivare la richiesta di rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria (si veda l’articolo 21 D.Lgs. 546/1992, in vigore prima dell’introduzione dell’analoga previsione novellata dal comma 1 dell’articolo 30-ter D.P.R. 633/1972) a fronte del termine decennale di prescrizione a disposizione del cliente per l’azione di ripetizione nei confronti dell’operatore (articoli 2033 e 2946 cod. civ.).

La tutela dei princìpi di effettività e di equivalenza esige, tuttavia, che sia garantita la restituzione dell’Iva al fornitore se esposto all’azione di ripetizione del cliente.

La convivenza delle due disposizioni configgenti persegue, quindi, l’obiettivo, già indicato dall’Avvocato generale, di non rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di rimborso dell’imposta non dovuta.

Giunto al vaglio della Corte di Cassazione il tema della coesistenza del doppio termine di rimborso, i giudici di legittimità hanno recepito in modo alquanto rigoroso le indicazioni della Corte europea, ritenendo che – per la restituzione dell’imposta al fornitore – non sia sufficiente la mera richiesta di rimborso avanzata dal cliente, essendo necessario un provvedimento coattivo che disponga l’obbligo di pagamento a suo favore (sent. 20 luglio 2012, n. 12666, ribadita da sent. 26 gennaio 2016, n. 1426; sent. 24 febbraio 2015, n. 3627; sent. 10 dicembre 2014, n. 25988 e sent. 15 marzo 2013, n. 6605).

Non è, tuttavia, lecito teorizzare che la Corte di giustizia, nel rapporto “tributario” tra il fornitore e l’Amministrazione finanziaria, abbia inteso escludere il rimborso nel caso in cui l’imposta sia stata restituita al cliente “spontaneamente”, anziché a seguito di un provvedimento coattivo, siccome la particolare “cautela” imposta dai giudici nazionali, vale a dire il richiamo al “dovere” di rimborso, risulta esclusivamente finalizzata a garantire che gli effetti dell’indebito pagamento dell’Iva e, dunque, del recupero, non ricadano in danno dell’Erario.

In pratica, il cliente al quale venga disconosciuta la detrazione operata in ragione della natura indebita dell’imposta si rivolgerà al proprio fornitore per ottenerne la restituzione, per cui è logico ritenere che se quest’ultimo ha provveduto al relativo rimborso, in modo spontaneo o coattivo, avrà diritto – anche oltre il termine biennale di decadenza previsto dall’articolo 21 D.Lgs. 546/1992 (ora articolo 30-ter, comma 1, D.P.R. 633/1972) – ad essere reintegrato dall’Amministrazione finanziaria; in caso contrario, l’Erario trarrebbe un indebito arricchimento a danno del fornitore, sul quale finirebbe per gravare il tributo con una evidente violazione del principio di neutralità.

Si tratta, pertanto, di tutelare una duplice esigenza: da un lato, quella dell’Erario, che non deve subire la perdita di gettito che si concretizzerebbe qualora al fornitore fosse restituita un’imposta che il cliente ha detratto e che, eventualmente, l’Amministrazione non ha più potere di recuperare a tassazione in ragione dell’intervenuta decadenza dell’azione di accertamento e, dall’altra, quella del fornitore, che si trova esposto ad un “doppio fuoco”, cioè alla richiesta di restituzione dell’Iva al proprio cliente senza essere più in grado di rivalersi nei confronti dell’Amministrazione finanziaria stante l’intervenuto decorso del termine biennale.

La questione è stata risolta, per visa normativa, con la Legge europea 2017, sicché il comma 2 dell’articolo 30-ter D.P.R. 633/1972 stabilisce, come anticipato, che, “nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa”.

Tale previsione ha effetto retroattivo, in quanto è espressione dell’interpretazione della normativa unionale offerta dalla Corte nella sentenza Banca Antoniana Popolare Veneta sopra richiamata.

Si ricorda, al riguardo, che, al pari delle disposizioni delle Direttive, le interpretazioni fornite dalla Corte di giustizia integrano il contenuto della disciplina unionale e, in particolare, laddove riferite a disposizioni sufficientemente dettagliate e precise, sono direttamente applicabili negli ordinamenti nazionali. La stessa Amministrazione finanziaria ha precisato che, “a norma dell’articolo 234 (già articolo 177) del Trattato, alla Corte di Giustizia è riservato in via esclusiva il potere di interpretare in via pregiudiziale le norme comunitarie; in particolare, come affermato dagli stessi giudici comunitari in precedenti giurisprudenziali, l’interpretazione di una norma di diritto comunitario, resa dalla Corte di Giustizia nell’ambito delle proprie attribuzioni, chiarisce e precisa il significato e la portata della norma, quale deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore. Una sentenza della Corte che precisi il significato di una norma comunitaria, determinandone ampiezza e contenuto, viene quindi ad integrare e costituisce un tutt’uno con la norma interpretata ed ha la stessa immediata efficacia – con riguardo agli ordinamenti nazionali – di quest’ultima” (si veda la circolare 67/E/2007, § 4, avente per oggetto i riflessi della sentenza Halifax, in materia di abuso del diritto nel settore dell’Iva, sull’operato degli Uffici).

Lo studio rimane a disposizione per chiarimenti ed assistenza.

Tratto da ecnews.it

Di DOTT. MATTEO FRISACCO

Dottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti, Membro effettivo del Collegio Sindacale, Revisore Legale dei conti, Curatore Fallimentare, Iscritto nell'Elenco dei Revisori degli Enti Locali, Consulente nella gestione dei rapporti di lavoro legge 12/1979, Iscritto all'Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Treviso, Iscritto al Registro Nazionale dei Revisori Legali.

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