La Legge di bilancio 2020 ha riproposto la possibilità di rivalutare i beni d’impresa e le partecipazioni immobilizzate di controllo o collegamento. Possono essere rivalutati i beni d’impresa materiali ed immateriali immobilizzati, nonché le partecipazioni in società controllate e in società collegate costituenti immobilizzazioni, risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2018.

La rivalutazione può avvenire secondo le seguenti modalità alternative:

  • rivalutazione del costo storico e del fondo ammortamento lasciando inalterata l’originaria durata dell’ammortamento;
  • rivalutazione del solo costo storico, scegliendo se mantenere inalterato o allungare il periodo di ammortamento;
  • riduzione del fondo ammortamento e conseguente allungamento del periodo di ammortamento.

La Legge di bilancio 2020 ha riproposto la possibilità di rivalutare i beni d’impresa e le partecipazioni immobilizzate di controllo o collegamento.

La rivalutazione può avere ad oggetto:

  • qualsiasi bene materiale o immateriale iscritto tra le immobilizzazioni (ancorché già completamente ammortizzato) ad esclusione degli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa;
  • qualsiasi partecipazione in società controllate o collegate ex art. 2359 cod. civ. iscritta tra le immobilizzazioni per categorie omogenee.Devono essere rivalutati tutti i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea. Categorie queste individuate con la C.M. n. 13/E/2014. Attenzione: L’Agenzia delle Entrate ha precisato, in più occasioni (circolari n. 14/E/2017, n. 13/E/2014, n. 11/E/2009 e n. 18/E/2006), che la rivalutazione effettuata in sede contabile deve necessariamente assumere valenza fiscale con il pagamento dell’imposta sostitutiva. Non è, invece, consentito effettuare una rivalutazione con effetti solo civilistici, vale a dire senza il versamento dell’imposta sostitutiva.
  • Non sono rivalutabili i beni merce (ossia i beni materiali e immateriali alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa), l’avviamento e gli oneri pluriennali, le partecipazioni iscritte nell’attivo circolante e quelle che non siano di controllo o collegamento, e tutti i beni/partecipazioni acquistati nel corso del 2018, in quanto il requisito per fruire della rivalutazione è che il bene/partecipazione risulti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2018.

Soggetti interessati

La Legge di bilancio 2020 delimita l’ambito soggettivo della rivalutazione, includendovi le società di capitali gli enti non commerciali per i soli beni afferenti la sfera commerciale (soggetti indicati nell’art. 73, comma 1, lett. a) e b) T.U.I.R.), a condizione che non adottino i principi contabili internazionali. Non rileva la tipologia di contabilità adottata (semplificata o ordinaria).

Possono avvalersi della rivalutazione anche le imprese individuali e le società di persone, e i soggetti non residenti aventi una stabile organizzazione nel territorio dello Stato (art. 15 della Legge n. 342/2000).

Non possono invece beneficiare della rivalutazione i soggetti IAS/IFRS adopter, per i quali il comma 948 prevede solo la possibilità di riallineare il valore fiscale al maggior valore iscritto nel bilancio dell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2017, mediante il versamento delle medesime imposte sostitutive.

Aspetti contabili

La rivalutazione va eseguita nel bilancio dell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, ossia nel bilancio 2019 per le imprese con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, e per i soli beni già presenti nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2018.

Il valore iscritto in bilancio per effetto della rivalutazione non può eccedere il maggiore tra il valore d’uso (o valore di realizzo indiretto) legato alla consistenza, capacità produttiva, e all’effettiva possibilità di utilizzazione economica nell’impresa, e il valore di realizzo diretto (o valore di realizzo diretto) legato al valore corrente e alle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri (art. 11, Legge n. 342/2000).

La rivalutazione può avvenire secondo le seguenti modalità alternative:

  • rivalutazione del costo storico e del fondo ammortamento lasciando inalterata l’originaria durata dell’ammortamento;
  • rivalutazione del solo costo storico, scegliendo se mantenere inalterato o allungare il periodo di ammortamento;
  • riduzione del fondo ammortamento e conseguente allungamento del periodo di ammortamento.
  • Attenzione: Indipendentemente dal metodo contabile utilizzato, la rivalutazione porta all’iscrizione di un saldo attivo di rivalutazione che deve essere imputato a capitale o accantonato in una speciale riserva (determinata al netto dell’imposta sostitutiva versata) designata con riferimento alla presente legge di rivalutazione. La riserva, ove non imputata a capitale, può essere ridotta solo con l’osservanza delle disposizioni di cui all’art. 2445, commi 2 e 3, cod. civ., che disciplina la riduzione reale del capitale sociale, prevedendo delle cautele sostanziali e procedimentali, quali: 
  • la previsione che l’avviso di convocazione dell’assemblea chiamata a deliberare la riduzione della riserva debba indicare le ragioni e le modalità della riduzione; 
  • la deliberazione possa essere eseguita soltanto trascorsi novanta giorni dall’iscrizione nel Registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
  • Sul punto, Assonime, nella circolare n. 13 del 27 dicembre 2001, con riferimento alla Legge n. 342/2000, applicabile anche alla presente rivalutazione, aveva osservato che l’assoggettamento del saldo attivo di rivalutazione alle stesse regole di salvaguardia del capitale sociale troverebbe giustificazione nella volontà del legislatore di vincolare l’incremento patrimoniale derivante dalla rivalutazione al rafforzamento dell’impresa.

Aspetti fiscali

Il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione si considera riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva del 12% per i beni ammortizzabili e del 10% per i beni non ammortizzabili.

I maggiori valori attribuiti in sede di rivalutazione si considerano fiscalmente riconosciuti:

  • dal terzo esercizio successivo a quello in cui la rivalutazione è eseguita (quindi, dal 2022 per le rivalutazioni eseguite sui bilanci 2019);
  • limitatamente ai beni immobili, i maggiori valori iscritti in bilancio si considerano riconosciuti dal periodo d’imposta in corso alla data del 1° dicembre 2023.Ai soli fini della determinazione della plusvalenza/minusvalenza in caso di cessione/autoconsumo del bene rivalutato la rivalutazione fa fede solo a decorrere del quarto anno successivo a quello in cui è eseguita (quindi dal 2023 per le rivalutazioni operate sui bilanci 2019).
  • Pertanto, in caso di estromissione del bene durante il periodo di sospensione degli effetti fiscali della rivalutazione, è riconosciuto al soggetto che ha effettuato la rivalutazione un credito d’imposta pari all’imposta sostitutiva relativa ai beni rivalutati che fuoriescono dall’impresa (art. 3, D.M. n. 86/2002).
  • Quindi, prima del riconoscimento fiscale, i maggiori ammortamenti iscritti in bilancio e imputati a conto economico in misura superiore a quella fiscalmente rilevante dovranno essere recuperati a tassazione attraverso variazioni in aumento dal reddito fiscale con l’iscrizione della fiscalità anticipata, che sarà poi recuperata al termine del periodo di ammortamento civilistico dei beni.

Utilizzo del saldo attivo di rivalutazione

Se il saldo attivo di rivalutazione è utilizzato a copertura di perdite di esercizio non produce recuperi a tassazione. Tuttavia, in tali circostanze non sarà possibile distribuire utili fino a quando la riserva di rivalutazione non sia reintegrata o ridotta in misura corrispondente (art. 13, comma 2, Legge n. 342/2000).

Se invece il saldo attivo è distribuito ai soci, le somme concorrono a formare il reddito imponibile sia della società che dei soci poiché, ai fini fiscali, il saldo attivo di rivalutazione costituisce una riserva in sospensione d’imposta, tassata in caso di distribuzione. In tali casi sarà riconosciuto un credito d’imposta pari all’importo dell’imposta sostitutiva pagata.

Affrancamento del saldo attivo

E’ possibile affrancare il saldo attivo della rivalutazione, in tutto o in parte, con l’applicazione in capo alla società di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell’IRAP e di eventuali addizionali nella misura del 10%.

L’affrancamento va calcolato sulla riserva senza diminuzione dell’imposta sostitutiva versata (quindi sulla stessa base imponibile dell’imposta del 10 e del 12 %), e rende la riserva libera dal vincolo con effetto immediato.

A seguito dell’affrancamento, l’eventuale distribuzione della stessa – stante il richiamo operato dal comma 946 della Legge di bilancio ai commi 475, 477 e 478 dell’art. 1, Legge n. 311/2004:

  • non costituisce reddito imponibile per la società;
  • è trattata con le regole dei dividendi di utili in capo ai soci, e trova applicazione la presunzione di distribuzione (di cui all’art. 47, comma 1 del T.U.I.R.), secondo cui si considerano prioritariamente distribuite le riserve di utili rispetto alle riserve di capitali, presunzione questa che invece non opera per le riserve in sospensione d’imposta.Tali imposte sostitutive devono essere versate in un’unica rata entro il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo d’imposta con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita.Il perfezionamento della rivalutazione è subordinato all’indicazione in dichiarazione dei redditi dei maggiori valori rivalutati e della relativa imposta sostitutiva. Per cui nelle ipotesi di omesso, insufficiente o tardivo versamento, l’imposta dovuta è iscritta a ruolo, fatta salva la possibilità di ricorrere al ravvedimento operoso.
  • Gli importi da versare possono essere compensati (ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241).

Responsabilità degli amministratori: La perizia di stima

E’ auspicabile far predisporre una perizia di stima a supporto della rivalutazione.

La legge di rivalutazione in oggetto richiama l’art. 11 della Legge n. 342/2000, che prevede che gli amministratori e i sindaci debbano indicare e motivare nelle loro relazioni al bilancio i criteri seguiti nella rivalutazione, e attestare che la rivalutazione operata non ecceda il valore effettivamente attribuibile al bene oggetto di rivalutazione, avuto a riguardo alla sua consistenza, alla sua capacità produttiva, all’effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa, nonché ai valori correnti e alle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri.

Se la riferita previsione legislativa ha un significato profondamente di economicità, finalizzato ad assicurare ai soci, ai creditori e ai terzi in genere che il valore attribuito al bene in sede di rivalutazione sia un valore effettivamente recuperabile, senza che si debba ricorrere ad una stima di un terzo indipendente (poiché specificamente non prevista dalla legge di rivalutazione), e con l’esigenza di non produrre sopravvalutazioni del patrimonio sociale; è pur vero che, a tale obbligo di attestazione, consegue un aggravio di responsabilità degli organi sociali, già chiamati in via generale ad attestare l’entità del patrimonio sociale, e nel caso particolare, ad attestare la congruità del valore economico di assets aziendali ritenuti plusvalenti. Attestazione questa che in molti casi richiede valutazioni tecniche e l’impiego di competenze spesso non in possesso dell’organo amministrativo e di controllo della società. Si pensi per esempio alle valutazioni relative al valore di immobili oppure delle immobilizzazioni tecniche.

Tuttavia, chi scrive ritiene che il controllo della congruità dell’entità della rivalutazione non possa agevolmente attribuirsi agli organi sociali. Tali valutazioni richiederebbero infatti la soluzione di problemi di speciale difficoltà tecnica, fuori dalle normali competenze “gestionali”, per quanto riguarda l’amministratore, nonché “contabili” e di legittimità relativamente all’organo di vigilanza.

Proprio in considerazione del profilo di responsabilità connessa all’attestazione in oggetto, nel silenzio della legge di rivalutazione, il ricorso ad un’apposita perizia di stima predisposta da un tecnico professionalmente qualificato può essere uno strumento utile a far emergere l’effettivo valore dei beni oggetto di rivalutazione. Si consiglia quindi di supportare la scelta dei valori di valutazione a mezzo della predisposizione di una specifica perizia di stima, anche se la legge in commento non ne faccia espressa richiesta.

Invero, sempre chi scrive ritiene che, in considerazione di professionalità per lo più di carattere amministrativo/gestionale di cui gli organi gestori in genere sono dotati, il solo fatto di propendere ad affidare la stima del valore di rivalutazione ad un professionista esterno qualificato (quasi sempre un ingegnere/architetto), sarebbe da sola condizione idonea a legittimare la rivalutazione e l’entità della stessa, poiché:

affidata ad un professionista indipendente, senza che possano emergere profili di conflittualità di interessi; è più probabile che si riesca ad avvicinare il valore di stima del bene oggetto di rivalutazione a quello di mercato.

Attenzione: Sul punto giova rammentare una recente Sentenza emessa dal Tribunale di Ancona, Sezione specializzata in materia di imprese, n. 52 del 16 dicembre 2017, che in tema di rivalutazioni immobiliari, ritenute dagli organi del fallimento finalizzate a celare il dissesto aziendale, ha chiarito i termini della responsabilità gravante in capo al perito autore della perizia assunta come viziata.

Sul punto il Tribunale di Ancona ha precisato che la violazione da parte del perito sarebbe ascrivibile ad un obbligo generale di comportamento, derivante dall’affidamento generato nei confronti di Società, soci e terzi dal suo status professionale. In altri termini, la condotta del perito è idonea a generare nei confronti di società, soci e terzi l’affidamento circa la correttezza della valutazione realizzata del bene oggetto di rivalutazione e – più in generale – della formazione del capitale sociale.

Come sarà di seguito chiarito, sebbene infatti la perizia giurata di stima non è un atto pubblico, e come tale non è assistito da fede privilegiata (di cui all’art. 2700 cod. civ.) è altresì vero che il lavoro peritale è comunque soggetto alla responsabilità di cui all’art. 64 c.p.c. ai sensi del quale: “il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda fino a diecimilatrecentoventinove euro. Si applica l’articolo 35 del Codice penale. In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti”.

Responsabilità degli amministratori per le rivalutazioni operate dalle imprese in perdita

La possibilità di operare la rivalutazione deve essere attentamente valutata dalle imprese che presentano bilanci in perdita.

Se è vero, infatti, che l’art. 1, comma 940, Legge n. 145/2018 dispone la possibilità di rivalutare i beni aziendali anche in deroga al generale divieto di rivalutazione (art. 2426 cod. civ.), ed è anche vero che la presenza di perdite d’esercizio di per sé non è causa ostativa della rivalutazione, è altresì innegabile che la presenza di perdite durevoli dovrebbe inibire dette rivalutazioni dovendosi porre, al contrario, il problema della eventuale svalutazione delle immobilizzazioni.

Come noto, l’art. 2423-bis, comma 1, n. 1, cod. civ., prevede che la valutazione delle voci di bilancio sia fatta nella prospettiva della continuazione dell’attività. In argomento, l’OIC 29 prescrive inoltre che, nella fase di preparazione del bilancio, gli amministratori devono effettuare una valutazione prospettica della capacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito per un prevedibile arco temporale futuro.

In tale ottica, gli amministratori devono anche avere a riguardo alle prescrizioni contenute nell’art. 2426, n. 3, cod. civ. e nell’OIC 9 relativamente alle svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni.

Attenzione: Alla luce delle riferite prescrizioni è da ritenersi che la rivalutazione dovrebbe essere inibita solo se si è in presenza di perdite durevoli atte a mettere in discussione il presupposto della continuità aziendale.

Quando invece il presupposto della continuità aziendale risulta verificato nonostante la presenza di perdite d’esercizio, la possibilità di operare la rivalutazione dovrebbe essere considerata legittima.

A riprova di quanto affermato si segnala che la giurisprudenza ha sancito la legittimità dell’utilizzo delle riserve di rivalutazione per la copertura delle perdite di esercizio, purché la rivalutazione non sia eseguita esclusivamente a tale scopo (cfr. Cassazione n. 9068/2000).

Inoltre, non si rinvengono divieti all’utilizzo della rivalutazione a copertura delle perdite neanche nella legislazione speciale in oggetto, tant’è che l’art. 13 della Legge n. 342/2000, prevede espressamente che:

  • la riserva di rivalutazione, ove non imputata a capitale, può essere ridotta soltanto con l’osservanza delle disposizioni dei commi 2 e 3 dell’art. 2445 del cod. civ.;
  • in caso di utilizzazione della riserva a copertura di perdite, non possono essere distribuiti utili fino a quando la riserva non è reintegrata o ridotta in misura corrispondente – non applicandosi le disposizioni dei commi 2 e 3 dell’art. 2445 cod. civ.Si è detto che – in forza del richiamo operato dalla legge di rivalutazione in commento all’art. 11 della Legge n. 342/2000 – i sindaci sono tenuti ad effettuare una serie di controlli specifici che supportino l’attestazione che il valore della rivalutazione operata non ecceda il limite il valore recuperabile diretto o indiretto.

Attenzione: Nel caso della rivalutazione, invece, la responsabilità dei sindaci è di tipo diretto, poiché la legge impone loro il rilascio di una specifica attestazione circa la congruità del valore assegnato in sede di rivalutazione.Sul punto si segnala la circolare Assonime n. 13 del 27 febbraio 2001, la quale chiarisce in maniera inequivocabile quale sia il perimetro e l’ampiezza del controllo cui il collegio sindacale è tenuto a svolgere, affermando al riguardo che: “Vale la pena aggiungere, inoltre, che per poter attestare che i maggiori valori emersi in sede di rivalutazione non superano il valore economico dei beni interessati, i membri del collegio sindacale dovranno acquisire dagli amministratori informazioni in merito alle fonti che giustificano la stima”. Attenzione: Dunque, è da ritenersi che il Collegio sindacale assolva al proprio dovere di controllo provvedendo semplicemente ad acquisire dall’amministratore le informazioni in merito alle fonti che giustificano la stima, e a verificare l’adeguatezza dell’elemento probativo alla base dell’individuazione del valore massimo della rivalutazione, così come la correttezza delle metodologie contabili adottate.

  • Non può invece dirsi gravante sullo stesso alcun obbligo di sindacato circa la correttezza dei criteri di valutazione utilizzati per la rivalutazione. Valutazioni queste da ritenersi non esperibili dal collegio sindacale, stante le specifiche competenze tecniche richieste al riguardo.
  • Come già riferito, è da ritenersi che non competa all’organo di controllo il sindacato sulla scelta dei criteri di rivalutazione da adottare, in quanto tale organo è chiamato piuttosto a valutare le ragioni che hanno orientato gli amministratori nella scelta del criterio utilizzato e a verificare che la rivalutazione abbia interessato tutti i beni della stessa categoria, e che, per la medesima categoria omogenea di beni, sia stato utilizzato il medesimo criterio di valutazione.
  • E’ noto che i sindaci generalmente incorrono nella c.d. culpa in vigilando, ossia in una responsabilità derivante dall’omissione dei controlli dovuti in base ad un comportamento diligente, qualora l’omissione dei controlli stessi abbia determinato un danno per la società che altrimenti non si sarebbe prodotto.
  • Responsabilità dei sindaci incaricati del controllo contabile circa la congruità del valore di rivalutazione

Possibilità dell’Amministrazione finanziaria di disconoscere ai fini fiscali la perizia giurata di stima

Anche qualora la rivalutazione sia supportata dalla redazione di una perizia di stima redatta da un professionista appositamente incaricato, si segnala che l’Amministrazione finanziaria ha il potere di disconoscere ai fini fiscali le valutazioni in essa recate.

Con l’ordinanza n. 13636/2018 la Corte di Cassazione ha precisato che la perizia giurata di stima non è un atto pubblico e come tale non è assistito dalla fede privilegiata di cui all’art. 2700 cod. civ., ai sensi del quale l’atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Pertanto, l’Amministrazione finanziaria, in presenza di presupposti di inattendibilità della perizia di stima, può legittimamente disconoscere il contenuto della perizia giurata e accertare il corretto valore del bene oggetto di rivalutazione.

Rivalutazione dei beni d’impresa: quanto conviene?

La legge di Bilancio 2019 (art. 1, commi da 940 a 947, legge n. 145/2018) ha reintrodotto la possibilità, per i soggetti che non adottano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio, di rivalutare i beni d’impresa (con alcune esclusioni) e le partecipazioni in società controllate e collegate.

Nel corso del tempo sono state proposte, in più riprese, norme speciali di rivalutazione con il medesimo obiettivo di adeguare il valore in bilancio ed il valore fiscale dei beni delle imprese al loro maggior valore di mercato, come previsto da esempio dalla legge n. 342/2000 (richiamata dalla legge n. 145/2018 ed oggetto di attuazione da parte del D.M. n. 162/2001 e n. 86/2002), dalla legge n. 311/2004 e, ancora, dalla legge n. 232/2016.

Alla luce dell’esplicito richiamo da parte della legge n. 145/2018 alle precedenti norme per la rivalutazione, si possono ritenere applicabili le precisazioni già fornite sul tema dall’Amministrazione finanziaria con le circolari n. 13/E/2014, n. 11/E/2009, n. 18/E/2006 e n. 14/E/2017.

Ambito soggettivo

Ai sensi dell’art. 1, comma 940, della legge di Bilancio 2019, la possibilità di fruire del regime di rivalutazione è riservata ai soggetti ITA-GAAP indicati nell’art. 73, comma 1, lettere a) e b), TUIR.

Inoltre – per effetto del rinvio da parte della legge n. 145/2018 alla legge n. 342/2000 – dovrebbero essere ammesse alla rivalutazione le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice ed equiparate, le imprese individuali, le società di persone in contabilità semplificata, gli enti non commerciali e le società ed enti non residenti con stabile organizzazione in Italia (previo il rispetto dei dovuti adempimenti e delle formalità richieste nelle varie fattispecie).

Come previsto dall’art. 1, comma 940, legge n. 145/2018, possono formare oggetto di rivalutazione i beni d’impresa (diversi da quelli destinati alla produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa), nonché le partecipazioni in società controllate e collegate contabilizzate tra le immobilizzazioni.

Stante la natura facoltativa della rivalutazione, i soggetti interessati possono scegliere di operarla solo per alcuni dei beni rientranti nel perimetro applicativo della norma. Tuttavia, ove si opti per la rivalutazione, questa deve riguardare obbligatoriamente tutti i beni appartenenti alla medesima categoria (c.d. “categorie omogenee”, individuate dall’art. 4, D.M. n. 162/2001, richiamato dall’art. 1, comma 946, legge n. 145/2018). I requisiti di appartenenza alle diverse categorie sono quelli esistenti alla data di chiusura del bilancio in cui è eseguita la rivalutazione.

La disciplina è applicabile alle immobilizzazioni materiali ammortizzabili e non ammortizzabili, alle immobilizzazioni immateriali costituite da beni consistenti in diritti giuridicamente tutelati ed alle partecipazioni immobilizzate in società controllate o collegate (ai sensi dell’articolo 2359 c.c.). In linea con i precedenti chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria, la rivalutazione non è applicabile (cfr. circolare n. 14/E/2017, par. 1):

  • ai beni materiali e immateriali alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa (compresi gli immobili, e.g. materie prime, merci, prodotti finiti);
  • all’avviamento, ai costi pluriennali, ai beni monetari (e.g. denaro, crediti, obbligazioni);
  • alle partecipazioni che non di controllo o di collegamento;
  • alle partecipazioni che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, ancorché di controllo o di collegamento.
  • I beni oggetto di rivalutazione sono quelli risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2017 e la rivalutazione deve essere eseguita nel bilancio o rendiconto dell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017, per il quale il termine di approvazione scade successivamente al 1° gennaio 2019, data di entrata in vigore della legge di Bilancio 2019 (ex art. 19 della medesima Legge), ovvero nell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2018 per i contribuenti “solari”.

Imposta sostitutiva ed effetti fiscali

La disposizione prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP pari alle seguenti percentuali:

  • 12% per i beni ammortizzabili;
  • 10% per i beni non ammortizzabili;Il versamento deve essere effettuato entro il termine previsto per il saldo delle imposte relativo al periodo d’imposta nel quale è eseguita la rivalutazione.Nel caso di cessione a titolo oneroso, di assegnazione ai soci o di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa dei beni oggetto di rivalutazione precedentemente all’inizio del quarto esercizio successivo a quello nel cui bilancio la rivalutazione è stata eseguita (i.e. anteriormente al 1° gennaio 2022, per i soggetti “solari”), ai fini della determinazione delle plusvalenze o minusvalenze in capo all’impresa disponente si considera il costo fiscale del bene ante rivalutazione.
  • I valori dei beni rivalutati si considerano fiscalmente riconosciuti a partire dal terzo periodo d’imposta successivo a quello in cui la rivalutazione è stata eseguita, ad esempio se la rivalutazione è perfezionata per l’esercizio 31 dicembre 2019 i maggiori valori iscritti sono riconosciuti dall’esercizio chiuso al 31 dicembre 2022 (per i beni immobili, a partire dall’esercizio 2023).
  • applicata sui maggiori valori attribuiti ai beni.

Modalità di rivalutazione

Per quanto concerne le modalità di effettuazione della rivalutazione, valgono le disposizioni contenute nell’art. 11, legge n. 342/2000 e nel D.M. n. 162/2001, richiamati dall’art. 1, comma 946, legge n. 145/2018. Pertanto, come confermato dall’Amministrazione finanziaria, la rivalutazione potrebbe avvenire secondo una delle seguenti modalità:

  1. rivalutazione del costo storico e del fondo di ammortamento: si mantiene inalterata l’originaria durata del processo di ammortamento (Metodo 1);
  2. rivalutazione del solo costo storico: si determina un allungamento del processo di ammortamento, se viene mantenuto inalterato il precedente coefficiente, ovvero un incremento del coefficiente se si intende lasciare inalterata la durata del periodo di vita utile del bene (Metodo 2);
  3. riduzione del fondo di ammortamento: tale metodo comporta lo stanziamento di ammortamenti su un costo analogo a quello originario (Metodo 3).

Affrancamento del saldo attivo

In linea con le precedenti disposizioni, la legge di Bilancio 2019 consente di affrancare il saldo attivo iscritto in bilancio in contropartita della rivalutazione (saldo imputato al capitale o accantonato in una speciale riserva), mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP con aliquota del 10% da versare secondo le medesime modalità previste per l’imposta relativa alla rivalutazione.

Una volta affrancato, il saldo di rivalutazione è liberamente distribuibile ai soci, senza che ciò comporti un’ulteriore tassazione in capo alla società nel cui bilancio la riserva da rivalutazione risultava iscritta.

Conclusioni

Come avvenuto in passato, le imprese interessate sono chiamate ad effettuare una valutazione dei costi/benefici offerti dalla possibilità di procedere con la rivalutazione, considerandone l’eventuale attrattività anche in base al fatto che l’imposta sostitutiva è dovuta in un’unica soluzione e il diritto di ammortamento fiscale dei valori rivalutati decorrerà in generale solo dall’esercizio 2021.

Restiamo a disposizione per chiarimenti ed assistenza.

Di DOTT. MATTEO FRISACCO

Dottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti, Membro effettivo del Collegio Sindacale, Revisore Legale dei conti, Curatore Fallimentare, Iscritto nell'Elenco dei Revisori degli Enti Locali, Consulente nella gestione dei rapporti di lavoro legge 12/1979, Iscritto all'Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Treviso, Iscritto al Registro Nazionale dei Revisori Legali.

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