La remunerazione dei Soci di S.r.l., nel rispetto delle norme di legge, può avvenire secondo questi metodi:

1) Distribuzione utili/riserve;
2) Compenso amministratore;
3) Rimborso spese: chilometrico, forfettario o analitico;
4) Buoni pasto;
5) Royalties sul Marchio aziendale;
6) Prestazioni accessorie.

Ognuno dei metodi indicati è soggetto a diversi trattamenti fiscali e contributivi.

1) Distribuzione utili/riserve

La distribuzione, spettanti a tutti i soci, è possibile solo:

a) quando ci sono utili;
b) solo l’anno successivo alla maturazione degli utili.

Sugli utili/riserve distribuite, è previsto che la società applichi una ritenuta, a titolo d’imposta, del 26%.

Quindi gli utili si possono prelevare solo dopo aver chiuso l’anno fiscale e che vengono erogati al netto della ritenuta del 26% (il bonifico sarà quindi pari al 74% degli utili/riserve di cui viene deliberata la distribuzione).
La ritenuta sarà versata dalla società e l’importo percepito non dovrà essere inserito in nessuna dichiarazione dei redditi del socio in quanto le imposte risultano già pagate attraverso la ritenuta applicata.
Le distribuzioni di utili/riserve costituiscono redditi di capitale per il socio percettore e non soggette a contribuzione INPS.
A parte la valutazione dell’assenza di contribuzione previdenziale, la distribuzione di utili/riserve, in considerazione del carico fiscale complessivo, non rappresenta la migliore soluzione.

2) Compenso amministratore

Tutti gli amministratori possono ricevere, previa delibera dell’assemblea dei Soci, un compenso per l’attività svolta a tale titolo.
Il vantaggio di questo strumento risiede nel fatto che l’importo del compenso è completamente variabile ed è stabilito dai soci.
Si possono quindi deliberare compensi agli amministratori anche parametrandoli all’andamento della gestione aziendale, senza rischiare di accumulare perdite per colpa della rigidità del costo del lavoro.
Il meccanismo della tassazione è uguale a quello dei lavoratori dipendenti.
Sull’importo lordo del compenso, si devono corrispondere i contributi Inps della gestione separata, con aliquota che va dal 24% o al 33,25%;

Differenza fiscale tra distribuzione di utili/riserve e compenso amministratore.
Con la distribuzione degli utili, prima sarà la società a pagare le imposte (Ires al 24% + IRAP al 3.,90%), successivamente si applicherà la ritenuta d’imposta del 26% al momento della eventuale distribuzione.
Con il compenso amministratore si pagano i contributi Inps per il 33,25% (oppure 24% se già iscritto alla gestione artigiani/commercianti) e la tassazione Irpef sul compenso che varia dal 23% in su.

3) Rimborso spese

Gli amministratori, oltre al normale compenso stabilito dai soci, possono pattuire con la società il rimborso delle spese sostenute.
I rimborsi spese sono di 3 tipologie:

– Rimborso analitico;
– Rimborso chilometrico;
– Rimborso forfettario.

Il rimborso analitico rimborsa tutte le spese che l’amministratore sostiene per effettuare una trasferta a nome della società, senza alcun effettivo vantaggio monetario.
Il rimborso chilometrico può essere previsto per ristornare l’amministratore delle spese di trasferta sostenute con l’utilizzo di un proprio automezzo: ogniqualvolta l’amministratore fa una trasferta per conto della società con la propria auto ha la possibilità di chiedere il rimborso spese dei chilometri percorsi valorizzati in base alle tabelle chilometriche dell’ACI (Automobile Club d’Italia).

L’importo che l’amministratore riceve è più alto rispetto a quello speso per il carburante perché i rimborsi spese ACI comprendono anche i seguenti costi:

– Quota ammortamento annuale della macchina;
– Assicurazione RCA;
– Tassa automobilistica;
– Carburante;
– Pneumatici;
– Riparazioni e manutenzioni “ordinaria”;
– Riparazioni e manutenzioni “straordinaria”.

Il rimborso prevede quindi il ristorno non solo del carburante, ma anche di parte di tutti questi costi che l’amministratore sostiene, a livello personale, per l’utilizzo dell’automezzo.

Rimborso forfetario

Quando l’amministratore fa una trasferta al di fuori del comune in qui è fissata la sede della società, ha diritto a ricevere nel cedolino busta paga un rimborso fisso, giornaliero, di euro 46,48 (per trasferte in Italia) senza aver il diritto di ricevere ulteriori rimborsi di spese.
Questo per l’amministratore significa che se fa una trasferta corta e spende meno di euro 46,48 l’amministratore sta guadagnano dei soldi.
Le indennità forfetarie, nei limiti previsti, non sono soggette ad imposte e contributi.

Cumulo tra rimborso forfettario e rimborso chilometrico
Le indennità forfetarie e i rimborsi chilometrici sono cumulabili.

Sostenimento di spese di trasporto (taxi, autostrada, …) e rimborso forfettario
Le indennità forfetarie e i rimborsi delle spese di trasporto sono cumulabili.

NB. Il rimborso forfettario si può utilizzare solo se viene predisposto un cedolino paga, mentre il rimborso chilometrico si può attivare anche SENZA cedolino paga.
Il rimborso chilometrico e il rimborso forfettario, se utilizzati in modo corretto rispettando la legge, possono consentire di incassare somme aggiuntive rispetto alle spese effettivamente sostenute.

4) Buoni pasto

In base al “Decreto Buoni pasto” (D.M. n. 122/2017), i buoni pasto, possono essere riconosciuti non solo ai lavoratori dipendenti, ma anche a soggetti non titolari di un rapporto di lavoro subordinato.
Il Decreto stabilisce, infatti, che i beneficiari dei buoni pasto possono essere anche coloro i quali hanno istaurato un rapporto di collaborazione, non necessariamente subordinato, con il soggetto che corrisponde i titoli di legittimazione.
Il compenso del Socio-amministratore viene normalmente inquadrato tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente; l’amministratore riceve un compenso che viene tassato in base alle regole dettate per i redditi di lavoro dipendente (art. 52 TUIR).
Pertanto, anche il regime fiscale dei buoni pasto riconosciuti dalla società all’amministratore suo “collaboratore” sarà – come per i lavoratori dipendenti – l’esenzione fino all’importo complessivo giornaliero di 4 euro, nel caso di buoni pasto in forma cartacea, o di 8 euro nel caso di buoni pasto in forma elettronica (art. 51, comma 2, lett. c), TUIR).
A questo proposito, si segnala l’isolato orientamento dell’Agenzia delle Entrate (Risp. n. 10/2019) che ha affermato che l’amministratore di una società non potrebbe fruire del regime fiscale di favore previsto dalla disciplina sui redditi di lavoro dipendente (estendibile, come anticipato, al reddito dell’amministratore) per i beni e servizi welfare (art. 51, comma 2, TUIR). Questo poiché mancherebbe, a tal fine, il requisito della subordinazione-dipendenza e l’amministratore non sarebbe in alcun modo assimilabile al lavoratore subordinato alle dipendenze della società.
I beni welfare – inclusi i buoni pasto – erogati in favore dell’amministratore dovrebbero, secondo l’Agenzia, essere valorizzati in base al valore normale.

5) Royalties su Marchio aziendale

Il marchio aziendale (Brand) è il segno distintivo che consente di individuare i prodotti/servizi dell’azienda e garantirne l’affidabilità e la qualità.
Il titolare del marchio (registrato) può concederne l’uso a terzi percependo una remunerazione a tale titolo (royalties).
Le royalties sono tassate con una riduzione forfetaria della base imponibile pari al 25%.
Quando le royalties sono percepite da una persona fisica, non esercente attività di impresa o professionale, il reddito percepito non rileva ai fini previdenziali. Infatti, il titolare non si obbliga a compiere alcuna prestazione d’opera o di servizio, tantomeno alcuna “attività” e quindi egli non potrebbe essere qualificato, da parte dell’INPS, come lavoratore autonomo occasionale.
Da quanto appena analizzato emerge chiaramente che il principale vantaggio dello sfruttamento del marchio aziendale deriva dalla parziale detassazione in capo alla persona fisica proprietaria del marchio e alla totale deducibilità delle royalties in capo all’utilizzatore del marchio.
Tuttavia bisogna sempre fare i conti con il fisco; prima di partire con la registrazione di un marchio è importante valutare la reale validità della posizione fiscale delle royalties sui marchi aziendali.
Per chiarire meglio la problematica esaminiamo alcuni dei principali errori macroscopici.

Marchio già utilizzato gratuitamente 

Spesso si procede alla registrazione di un marchio già esistente e sfruttato fino a quel momento in maniera del tutto gratuita. In questo caso, durante un controllo fiscale potrebbe facilmente emergere che l’azienda già utilizzava quel marchio e pertanto tutta la “costruzione fiscale” delle royalties e del relativo beneficio sul diritto d’autore verrebbe meno.

Deducibilità delle royalties e principio di inerenza

In merito alla deducibilità in capo a una società delle royalties e dei diritti d’autore pagati alla persona fisica titolare del brevetto o del marchio, si evidenzia che secondo il “principio di inerenza”, ogni qual volta si voglia scaricare un costo, è necessario dimostrare in caso di controllo fiscale che quel costo è inerente alla reale attività svolta.
In questo caso il problema dipende dal fatto che finché si tratta di marchi noti è semplice dimostrare che qualsiasi prodotto acquista un valore grazie al marchio e grazie al fatto che è distribuito dalla rete del “brand”. In tal caso, infatti, il marchio è un fattore essenziale del processo di vendita, in grado di aumentare il valore del singolo articolo.
Questo maggior valore potrebbe diventare difficile da dimostrare in caso di aziende di piccole dimensioni dove occorre dimostrare che, grazie a quel preciso marchio, il prodotto venduto aumenta di valore sul mercato oppure che, quel determinato marchio o brevetto, permette l’aumento delle vendite.

Spese di pubblicità sostenute dall’utilizzatore

Spese di pubblicità a sostegno del marchio aziendale pagate interamente dalla società che ha contribuito a creare la reputazione del brand e non dal proprietario. In questo caso il marchio aziendale acquisisce importanza grazie ai costi sostenuti dalla società e non dalla persona fisica che ha effettuato la registrazione e che percepisce le royalties.
A seguito di un eventuale controllo fiscale che accerti che tutte le fatture relative alla pubblicità del marchio sono a carico della società, sarà difficile scaricare i costi delle royalties.

Costi di sviluppo marchio aziendale sostenuti dalla società utilizzatrice
Registrazione di un marchio a titolo personale quando è stato sviluppato in un’altra azienda con i costi pagati dalla società.

In conclusione, il marchio aziendale rappresenta uno strumento utile alla pianificazione fiscale quando effettivamente ci sono tutti i presupposti per la registrazione del marchio e il relativo sfruttamento economico. Purtroppo, però, gli errori in questa materia possono costare cari e occorre prestare molta attenzione a non cadere in tentazione.

6) Prestazioni accessorie – Sole 24 Ore del 14/03/2022.

L’articolo 2345 del Codice civile dispone che: «Oltre l’obbligo dei conferimenti, l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in danaro, determinandone il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, e stabilendo particolari sanzioni per il caso di inadempimento. Nella determinazione del compenso devono essere osservate le norme applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse prestazioni. Le azioni alle quali è connesso l’obbligo delle prestazioni anzidette devono essere nominative e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori. Se non è diversamente disposto dall’atto costitutivo, gli obblighi previsti in questo
articolo non possono essere modificati senza il consenso di tutti i soci».


La previsione è collocata nella disciplina delle società per azioni. Tuttavia, non vi è dubbio che trovi applicazione anche per Srl (così come la possibilità di prevedere quote con prestazioni accessorie si ritiene comunemente ricompresa, per le società di persone, nell’articolo 2253, comma 2, del Codice civile).
Le ragioni della disposizione delle prestazioni accessorie – di cui si rinvengono le prime “tracce” in Germania nel 1912 – risulta quella di dotare le società di uno strumento idoneo al fine di assicurare l’acquisizione di beni o servizi utili al programma d’impresa, senza doverlo ricercare da “fonti esterne” sul mercato.
Sotto il profilo contenutistico, l’oggetto della prestazione è liberamente configurabile dalle parti, con la sola eccezione del divieto di erogazione di denaro.
Le ragioni di tale divieto vanno ricercate nel fatto che «l’accessorietà» delle prestazioni va intesa come «aggiuntiva» o «ulteriore»: l’intenzione è quella di evitare un inutile doppione del conferimento, che usualmente avviene in denaro (non a caso l’articolo 2345 del Codice civile esordisce con «oltre l’obbligo dei conferimenti»).
Non sono da considerarsi in denaro le prestazioni di garanzia da parte dei soci in favore dei terzi creditori dell’ente associativo (le quali peraltro risultano espressamente disciplinate dalla normativa fiscale), che dunque ben possono rientrare tra le prestazioni accessorie.
In via generale, si può affermare che rientra nella previsione di cui all’articolo 2345 del Codice qualsiasi tipologia di utilità, materiale o immateriale fruibile dalla società, comprese prestazioni del tutto occasionali, sempre con l’eccezione sopra ricordata delle dazioni dirette di denaro.


Le formalità da rispettare
La clausola relativa alle quote con prestazione accessoria deve essere contenuta nell’atto costitutivo.
Tuttavia, può essere introdotta anche successivamente con una modifica statutaria, anche se in giurisprudenza vi è stata qualche pronuncia che ha ammesso che l’obbligo delle prestazioni accessorie possa essere inserito in un atto diverso dallo statuto o dall’atto costitutivo (Cassazione 3319/1978).
Tale conclusione, tuttavia, non appare convincente. Infatti, come anche l’agenzia delle Entrate ha avuto modo di riconoscere (risoluzione 81/E/2002), l’obbligazione derivante dalle prestazioni accessorie ha natura propriamente sociale – con tutta le conseguenze tipicamente societarie – con la conclusione che si ritiene che il rapporto (tra società e socio) non possa essere istituito al di fuori dei documenti
tipicamente regolatori della vita associativa. E proprio perché la natura delle prestazioni accessorie è da fare rientrare tra le obbligazioni sociali, tali prestazioni – se vengono rispettate tutte le “ritualità” – potranno essere difficilmente messe in discussione – se precisamente determinate – da parte dell’agenzia delle Entrate.

L’istituto permette di riconoscere un compenso periodico al Socio che presta la propria attività a favore della società, evitando tutti gli svantaggi gestionali e previdenziali connessi ai compensi amministratori escludendo taluni rischi di natura fiscale; permette, inoltre, di regolare statutariamente gli obblighi dei singoli soci, vincolandoli a determinate prestazioni a favore della società stessa prevedendone la remunerazione in relazione alle attività effettivamente svolte.
Sotto il profilo fiscale, le prestazioni accessorie rese dai soci sono configurabili come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lett. c-bis) del Tuir come evidenziato nella risoluzione delle Entrate n. 81/E/2002 e, come tali, deducibili dal reddito d’impresa della società.
Per il trattamento contributivo di queste somme, la circolare Inps n. 45/2018, ritiene attratto alla contribuzione presso la gestione previdenziale di appartenenza (Artigiani/Commercianti) il reddito prodotto ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lett. c-bis) evitando così i versamenti alla gestione separata Inps.

Di DOTT. MATTEO FRISACCO

Dottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti, Membro effettivo del Collegio Sindacale, Revisore Legale dei conti, Curatore Fallimentare, Iscritto nell'Elenco dei Revisori degli Enti Locali, Consulente nella gestione dei rapporti di lavoro legge 12/1979, Iscritto all'Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Treviso, Iscritto al Registro Nazionale dei Revisori Legali.

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