La verifica fiscale viene definita come un’indagine di polizia amministrativa finalizzata a:

  • prevenire, ricercare e reprimere le violazioni alle norme tributarie e finanziarie;
  • qualificare e quantificare la capacità contributiva del soggetto che ad essa viene sottoposto.

La stessa può essere eseguita nei confronti di qualunque persona fisica o giuridica o società di persone o ente che abbia effettuato attività in relazione alle quali le norme tributarie o finanziarie pongono obblighi o divieti la cui inosservanza è sanzionata in via amministrativa e/o penale (cfr. circolare del Comando Generale della Guardia di Finanza – III Reparto Operazioni – Ufficio Fiscalità – circolare n. 1/1998, Prot. n. 360000 del 20 ottobre 1998 – Volume I – Potestà e metodologia dei controlli).

In tale contesto, nel corso delle operazioni di accesso presso la sede del contribuente ispezionato, esercitando i poteri previsti dall’ordinamento giuridico e, in particolare, dall’articolo 52 D.P.R. 633/1972, ai fini Iva richiamato dall’articolo 33 D.P.R. 600/1973, i funzionari dell’Amministrazione finanziaria possono effettuare mirate ricerche con lo scopo di reperire documentazione contabile e extracontabile all’interno dei locali nella disponibilità del contribuente ispezionato.

Nello specifico, per espressa disposizione normativa:

  • l’ispezione documentale si estende a tutti i libri, registri, documenti e scritture, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie, che si trovano nei locali in cui l’accesso viene eseguito, o che sono comunque accessibili tramite apparecchiature informatiche installate in detti locali;
  • i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. In merito, per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi all’ispezione.

Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’articolo 39, comma 1, lett. c), D.P.R. 600/1973, consente di procedere alla rettifica del reddito d’impresa delle persone fisiche anche quando l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta “… dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti o da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio da cui possono derivare presunzioni semplici, desumibili anche dalla documentazione extracontabile acquisita alla verifica fiscale, tra cui può essere annoverata anche la c.d. “contabilità parallela”, generalmente costituita da appunti manoscritti redatti da parte del soggetto ispezionato.

Infatti, come espressamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, rientrano nella definizione di “scritture contabili” disciplinate dagli articoli 2709 e ss. cod. civ. tutti quei documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta (cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 14150 dell’11.07.2016).

In merito, le ricostruzioni indirette del volume d’affari possono essere fondate anche sulla base di prove presuntive e, in particolare, sulle risultanze di elementi documentali o di natura extracontabile acquisiti agli atti della verifica fiscale, idonei a fornire precise indicazioni in ordine all’effettiva capacita contributiva e dei correlati componenti reddituali conseguiti dall’impresa o dal professionista sottoposto a controllo.

È infatti possibile che i dati e gli elementi espressivi dell’effettiva redditività di un’impresa o di un’attività di lavoro autonomo siano rilevabili anche dalla documentazione extracontabile rinvenuta nel corso dell’ispezione, sia che si tratti di documenti dai quali sia possibile trarre indicazioni circa le operazioni attive e passive effettivamente poste in essere rispetto a quelle contabilizzate, sia che si tratti di documentazione avente finalità di controllo interno o di natura commerciale (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume III – parte V – capitolo 1 “Le metodologie di controllo basate su prove presuntive”, pag. 21 e ss.).

In ordine alla rilevanza della documentazione extracontabile ai fini dell’accertamento di maggiori redditi è nuovamente intervenuta, in sede di legittimità, la suprema Corte di cassazione con la sentenza n. 3264 del 05.02.2019.

Gli ermellini, confermando le argomentazioni logico-giuridiche sopra esposte e richiamando le disposizioni previste in tema di accertamento delle imposte sui redditi dal citato articolo 39, comma 1, lett. c), D.P.R. 600/1973, hanno sancito che è possibile procedere alla rettifica del reddito sulla base anche delle risultanze della “contabilità in nero”, sebbene rinvenuta preso terzi, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, la quale rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’articolo 39 D.P.R. 600/1973.

In buona sostanza, la stessa documentazione extracontabileper il suo valore probatorio – legittima, a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo incombendo sul contribuente l’onere di fornire idonea prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli.

Lo studio rimane a disposizione per chiarimenti ed assistenza.

Tratto da ecnews.it

Di DOTT. MATTEO FRISACCO

Dottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti, Membro effettivo del Collegio Sindacale, Revisore Legale dei conti, Curatore Fallimentare, Iscritto nell'Elenco dei Revisori degli Enti Locali, Consulente nella gestione dei rapporti di lavoro legge 12/1979, Iscritto all'Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Treviso, Iscritto al Registro Nazionale dei Revisori Legali.

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