La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9586 del 05.04.2019, ha affermato che il regime di non imponibilità dell’articolo 8, comma 1, lett. c), D.P.R. 633/1972 si applica anche se, sul piano temporale, il fornitore ha emesso fattura senza addebito dell’Iva prima di avere ricevuto la dichiarazione d’intento dal cliente.
La pronuncia, riferita alla disciplina in vigore prima delle modifiche introdotte dall’articolo 20 D.Lgs. 175/2014, supera non solo le indicazioni fornite dalla prassi amministrativa al riguardo, ma anche il dato normativo, che all’articolo 1, comma 1, lett. c), D.L. 746/1983 – nel testo vigente all’epoca dei fatti – subordinava il trattamento di non imponibilità alla condizione “che l’intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione della imposta risulti da apposita dichiarazione (…) consegnata o spedita al fornitore o prestatore, ovvero presentata in dogana, prima dell’effettuazione della operazione”.
Come rilevato dai giudici di legittimità, la conclusione raggiunta si giustifica “anche in considerazione del diritto eurounitario in materia di Iva quale tributo armonizzato, come interpretato anche dalla Corte di Giustizia oltre che da questa Corte, onde evitare che la disciplina in materia di Iva relativa alle «cessioni all’esportazione» non sia applicata in ragione di mere circostanze formali, nella specie la tardiva comunicazione della dichiarazione d’intento.
Ciò, però, a condizione che il contribuente provi la sussistenza di tutti i presupposti fattuali caratterizzanti la detta cessione, in quanto derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria.
Per il caso in cui la tardiva dichiarazione si manifesti ideologicamente falsa, il contribuente deve altresì dimostrare l’assenza di un proprio coinvolgimento nell’attività fraudolenta, ossia di non essere stato a conoscenza dell’assenza delle condizioni legali per l’applicazione del regime in esame o di non essersene potuto rendere conto, pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in suo potere”.
È il caso di chiedersi se lo stesso risultato sia valido nel sistema in vigore dopo le modifiche introdotte dal citato articolo 20 D.Lgs. 175/2014, che ha riformulato l’articolo 1, comma 1, lett. c), D.L. 746/1983 prevedendo, ai fini della non imponibilità, “che l’intento di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione della imposta risulti da apposita dichiarazione (…) trasmessa telematicamente all’Agenzia delle entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica”. La norma aggiunge che “la dichiarazione, unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate, sarà consegnata al fornitore o prestatore, ovvero in dogana”.
In linea di principio, la conclusione della Suprema Corte, ammesso che sia condivisibile, potrebbe valere anche nel nuovo regime, ma ritengo utile – per escludere tale interpretazione – spostare l’attenzione sulle disposizioni che disciplinano il regime sanzionatorio.
Ai fini che qui interessano, assumono rilevanza le sanzioni amministrative previste dai commi 3 e 4-bis dell’articolo 7 D.Lgs. 471/1997, secondo cui, rispettivamente:
- “chi effettua operazioni senza addebito d’imposta, in mancanza della dichiarazione d’intento di cui all’articolo 1, primo comma, lettera c), del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, è punito con la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento dell’imposta, fermo l’obbligo del pagamento del tributo. Qualora la dichiarazione sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell’omesso pagamento del tributo rispondono esclusivamente i cessionari, i committenti e gli importatori che hanno rilasciato la dichiarazione stessa” (comma 3);
- “è punito con la sanzione amministrativa da euro 250 a euro 2.000 il cedente o prestatore che effettua cessioni o prestazioni, di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, prima di aver ricevuto da parte del cessionario o committente la dichiarazione di intento e riscontrato telematicamente l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle entrate, prevista dall’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17” (comma 4-bis).
La sanzione proporzionale si riferisce alla duplice ipotesi della mancanza della dichiarazione d’intento e della dichiarazione d’intento rilasciata in assenza dei presupposti. Tali violazioni hanno carattere sostanziale e ad essere punito è, rispettivamente, il fornitore, per avere effettuato operazioni in regime di non imponibilità di cui all’articolo 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972 in mancanza della dichiarazione d’intento e il cliente, che abbia acquistato beni e servizi senza applicazione dell’Iva a fronte di una dichiarazione d’intento rilasciata in assenza dei presupposti.
La sanzione fissa è, invece, irrogata al fornitore che abbia effettuato operazioni in regime di non imponibilità prima di avere ricevuto e riscontrato telematicamente la dichiarazione d’intento. Si tratta, in questa ipotesi, di una violazione che, a seguito della revisione del sistema sanzionatorio operata dal D.Lgs. 158/2015, non è più punita con la sanzione proporzionale in considerazione delle modifiche intervenute sulla disciplina della comunicazione all’Agenzia delle Entrate dei dati contenuti nelle dichiarazioni d’intento.
L’articolo 20 D.Lgs. 175/2014 ha, infatti, radicalmente modificato la procedura per l’invio e la consegna delle dichiarazioni d’intento. Nel nuovo sistema, l’esportatore abituale è obbligato a trasmettere telematicamente la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate, che rilascia apposita ricevuta telematica. Successivamente, l’esportatore abituale deve curare la consegna al fornitore (o in Dogana) della dichiarazione d’intento e della relativa ricevuta di presentazione, cosicché il fornitore stesso è tenuto a verificare che la dichiarazione d’intento sia stata presentata all’Agenzia delle Entrate, pena l’applicazione della sanzione fissa (circolare 31/E/2014, § 11).
Ne discende che l’intervento operato dal D.Lgs. 158/2015 pare finalizzato ad escludere che siano punite nel modo più grave le violazioni dovute al semplice ritardo nella consegna della dichiarazione d’intento al fornitore e/o al suo riscontro telematico, sempreché l’operazione in regime di non imponibilità sia regolare sussistendo i presupposti per l’acquisto senza applicazione dell’Iva ricollegati allo status di esportatore abituale e al plafond disponibile.
Come risulta dalla prassi che, a quanto consta, è seguita dagli Uffici, il passaggio dalla sanzione fissa a quella proporzionale si verifica quando, al momento di effettuazione dell’operazione non imponibile, l’esportatore abituale non abbia ancora trasmesso per via telematica all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione d’intento. In tal caso, la violazione del fornitore assume carattere sostanziale, con la conseguente applicazione della sanzione dal 100% al 200% dell’imposta, fermo restando l’obbligo del pagamento del tributo.
In definitiva, affinché non si rientri nell’ipotesi della “mancanza della dichiarazione d’intento”, punita con la sanzione proporzionale, sembra indispensabile che la ricevuta telematica rilasciata dall’Agenzia delle Entrate a fronte dell’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento sia anteriore al momento di effettuazione dell’operazione per la quale sia stata emessa fattura senza addebito dell’Iva ex articolo 8, comma 1, lett. c), D.P.R. 633/1972. In tal caso, la non imponibilità deve intendersi correttamente applicata.
Lo studio rimane a disposizione per chiarimenti ed assistenza.
Tratto da ecnews.it