L’Imu viene versata interamente dal titolare del diritto reale sull’immobile, mentre la Tasi viene divisa tra possessore ed utilizzatore secondo determinate misure stabilite nel regolamento comunale (in un range compreso tra il 10% ed il 30%); eventuali accordi previsti nel contratto di locazione che traslano sull’inquilino il carico di tali tributi hanno esclusivamente una valenza interna tra i due soggetti che hanno stretto l’accordo.
La pronuncia della Cassazione n. 6882 del 08.03.2019 non modifica tale principio (e neppure potrebbe farlo), ma, al contrario, disinteressandosi degli aspetti fiscali, dichiara legittima la clausola contrattuale con la quale il proprietario dell’immobile pretende dall’inquilino il rimborso di quanto pagato al Comune a titolo di tributo.
Si tratta pertanto di una sentenza priva di qualunque riflesso tributario.
La soggettività Imu e Tasi
La soggettività passiva relativa all’imposta municipale unica e alla tassa sui servizi indivisibili è solo in parte allineata.
Ai fini Imu si segue la regola generale in base alla quale soggetti passivi sono coloro che detengono il possesso dell’immobile, quindi (almeno in prima battuta) i titolari di diritti reali (proprietario, usufruttuario, superficiario, titolare del diritto di abitazione, ecc.), ai quali si deve aggiungere il conduttore del contratto di leasing.
Ai fini Tasi, invece, il soggetto passivo è chiunque possieda o detenga, a qualsiasi titolo, le unità immobiliari tassate. Pertanto, accanto al possessore, che, come detto, è soggetto passivo Imu, è tenuto al pagamento di una quota dell’imposta sui servizi anche il detentore (inquilino, comodatario, ecc.).
La norma, però, non fissa una proporzione costante di ripartizione del carico impositivo, ma lascia al singolo comune il diritto di scegliere come suddividere tra i due soggetti il prelievo. Pertanto:
- l’occupante è chiamato a versare la Tasi in una misura compresa fra il 10% e il 30% dell’ammontare complessivo della Tasi,
- mentre la restante parte (di conseguenza, una somma compresa tra il 90% ed il 70% della Tasi complessivamente dovuta) è corrisposta dal titolare del diritto reale sull’unità immobiliare.
La sentenza n. 6882 del 08.03.2019
La sentenza in commento, come detto, interviene sulla liceità di una eventuale clausola che ribalta sul locatario il peso dell’Ici (e oggi dell’Imu): secondo i giudici di Cassazione, infatti, deve ritenersi non illegittima la clausola contrattuale che scarica sull’inquilino il pagamento dell’Imu, così come di qualsiasi altra tassa od onere sull’immobile preso in locazione.
Secondo la Cassazione, “la clausola contrattuale […] in argomento è stata nell’impugnata sentenza intesa come prevedente un’ulteriore voce o componente (la somma corrispondente a quella degli assolti oneri tributari) costituente integrazione del canone locativo, concorrendo a determinarne l’ammontare complessivo a tale titolo dovuto dalla conduttrice.”
I proprietari di immobili dati in locazione, che siano abitazioni ovvero locali commerciali, hanno quindi il diritto di inserire nel contratto di locazione (e il locatario è ovviamente libero di non sottoscrivere il contratto se tale pattuizione non lo aggrada) una clausola che prevede il rimborso da parte dell’inquilino della quota di tasse, imposte o oneri legati alla locazione.
Secondo la Cassazione, infatti, tali accordi “non prevedano un obbligo diretto del conduttore verso il fisco di pagare le imposte che gravano sull’immobile, ma soltanto un obbligo dello stesso conduttore verso il locatore di sostenere il relativo onere”.
In definitiva, si tratta di un principio che pare davvero scontato e che a parere di chi scrive la pronuncia in commento, almeno sotto tale aspetto, non merita il risalto che la stampa le ha attribuito, posto che si tratta di una previsione che non incide in alcuna maniera sui rapporti tributari che (ovviamente) prescindono dalle clausole contrattuali.
Più interessante (ma non esplorato nella pronuncia richiamata) è il tema della qualificazione delle somme rimborsate al locatore, al fine di valutarne il trattamento ai fini delle imposte sul reddito: se infatti si tratta di un onere proprio del locatore che il locatario manleva tramite rimborso, tale somma deve considerarsi un vero e proprio canone; d’altro canto, nella sentenza, si fa riferimento a due componenti del canone di locazione.
La conseguenza di tale ragionamento è che tale importo complessivo (canone vero e proprio incrementato dell’aggiunta a rimborso) dovrebbe essere oggetto di tassazione in capo al locatore.
Lo studio rimane a disposizione per chiarimenti ed assistenza.
Tratto da ecnews.it