La decisione del Consiglio europeo che autorizza uno Stato membro ad introdurre il meccanismo del reverse charge per una determinata operazione non può essere applicata retroattivamente, nella specie prima della data di notifica dell’atto allo Stato membro interessato, laddove tale atto nulla disponga in merito alla sua entrata in vigore o alla sua data iniziale di applicazione.
È quanto affermato dalla Corte di giustizia nell’interessante sentenza resa nella causa C-434/17 del 13 febbraio 2019 (Human Operator), avente per oggetto l’interpretazione della decisione di esecuzione n. 2349 del 10 dicembre 2015, con la quale il Consiglio ha autorizzato l’Ungheria ad applicare una misura di deroga all’articolo 193 Direttiva 2006/112/CE, che individua il soggetto tenuto al pagamento dell’Iva.
Tale disposizione stabilisce che il soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi è, di norma, tenuto al versamento della relativa imposta all’Erario.
L’obiettivo della deroga chiesta (e ottenuta) dall’Ungheria è di traslare l’obbligo d’imposta in capo al destinatario dell’operazione, se quest’ultima si riferisce al prestito di personale, settore nell’ambito del quale si sono registrate notevoli frodi che possono essere contrastate efficacemente qualificando come debitore d’imposta il cliente in luogo del fornitore.
Come si desume, infatti, dal preambolo della decisione di esecuzione n. 2349/2015/UE, “diversi operatori nel settore delle agenzie di lavoro temporaneo sono coinvolti in attività fraudolente di fornitura di servizi senza versamento dell’Iva all’amministrazione fiscale. Poiché questo tipo di attività non richiede necessariamente ingenti investimenti o fattori produttivi, l’Iva percepita da tali agenzie spesso supera ampiamente l’importo dell’Iva deducibile pagata ai fornitori. Un certo numero di queste agenzie, spesso prive di o con attivi limitati, scompare dopo un breve periodo anche solo di pochi mesi, rendendo il recupero dell’Iva non pagata difficile o impossibile”. Sicché, prosegue il preambolo, “designando in questi casi il destinatario dei servizi quale soggetto tenuto al pagamento dell’Iva, la deroga eliminerebbe la possibilità di praticare questo tipo di evasione fiscale”.
L’articolo 199, par. 1, lett. b), Direttiva 2006/112/CE prevede già l’applicazione facoltativa, da parte degli Stati membri, del meccanismo dell’inversione contabile in relazione alla messa a disposizione di personale, ma questa possibilità è limitata al settore immobiliare, come si evince dal rinvio alla lett. a) dello stesso articolo 199, par. 1.
A norma dell’articolo 395, par. 1, Direttiva 2006/112/CE, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro ad introdurre misure speciali di deroga alle disposizioni della Direttiva allo scopo di semplificare la riscossione dell’Iva o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali.
L’Ungheria si è, pertanto, rivolta alla Commissione, ottenendo il via libera all’applicazione del reverse charge nel settore considerato.
L’articolo 1 della decisione di esecuzione ha previsto che, “in deroga all’articolo 193 della direttiva 2006/112/CE, l’Ungheria è autorizzata a disporre che il debitore dell’Iva sia il soggetto passivo destinatario di una messa a disposizione di personale per l’esecuzione di attività diverse da quelle previste all’articolo 199, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/112/CE”, mentre il successivo articolo 2 ha stabilito che “la presente decisione cessa di produrre effetti il 31 dicembre 2017”.
Nel silenzio dell’atto in merito alla sua entrata in vigore o alla sua data iniziale di applicazione è scaturita una controversia con le Autorità fiscali ungheresi, che hanno ritenuto applicabile il reverse charge, per le prestazioni in esame, soltanto dalla data di notifica all’Ungheria della misura di deroga ad essa concessa dal Consiglio, avvenuta l’11 dicembre 2015.
La Corte di giustizia ha dato ragione alle Autorità fiscali, escludendo l’applicazione retroattiva del sistema dell’inversione a decorrere dall’1 gennaio 2015, corrispondente alla data di entrata in vigore della modifica operata nella normativa Iva ungherese.
Tale conclusione, rilevano i giudici dell’Unione, “non può essere inficiata dalle osservazioni del governo ungherese. Contrariamente a quanto suggerisce detto governo, sono irrilevanti ai fini della determinazione della data a decorrere dalla quale ha effetto la decisione di esecuzione, in primo luogo, il fatto che la Commissione, nella sua proposta di decisione di esecuzione del Consiglio che autorizza l’Ungheria ad applicare una misura di deroga all’articolo 193 della direttiva 2006/112 [COM(2015) 557 final], abbia espressamente indicato di essere stata informata che l’Ungheria aveva iniziato ad applicare la deroga richiesta senza attendere l’adozione della decisione di esecuzione, in secondo luogo, il fatto che l’articolo 2 della succitata decisione abbia fissato la sua data di scadenza al 31 dicembre 2017 e, in terzo luogo, il fatto che, in una lettera inviata all’Ungheria dalla Commissione, quest’ultima abbia indicato la propria intenzione di accogliere la domanda dello Stato membro in questione riguardante la durata di applicazione della deroga richiesta e abbia raccomandato di fissare tale durata in tre anni”.
La Corte si è espressa nel rispetto non solo dell’articolo 297, par. 2, comma 3, TFUE, secondo cui simili decisioni comunitarie hanno efficacia in virtù della notificazione ai loro destinatari, ma anche dei princìpi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento. In via generale, le norme sostanziali del diritto dell’Unione devono considerarsi applicabili solo successivamente alla loro entrata in vigore, per cui “il principio della certezza del diritto osta, in linea di massima, a che l’efficacia nel tempo di un atto dell’Unione decorra da prima della sua pubblicazione o della sua notifica, a seconda dei casi, posto che la Corte ha statuito che può avvenire diversamente, in via eccezionale, qualora lo esiga uno scopo di interesse generale e sia debitamente rispettato il legittimo affidamento degli interessati (v., in tal senso, sentenze del 30 settembre 1982, Amylum/Consiglio, 108/81, EU:C:1982:322, punto 4; del 26 aprile 2005, «Goed Wonen», C‑376/02, EU:C:2005:251, punto 33 e giurisprudenza ivi citata, e del 28 novembre 2006, Parlamento/Consiglio, C‑413/04, EU:C:2006:741, punto 75 e giurisprudenza ivi citata)”.
Gli effetti dell’anticipata trasposizione nel diritto nazionale della misura di deroga sono ben evidenziati dalla sentenza in commento, secondo cui lo Stato membro non dispone di alcun margine di discrezionalità riguardo alle condizioni per l’applicazione nel tempo della norma generale prevista dall’articolo 193 Direttiva 2006/112/CE, che considera il cedente/prestatore come debitore d’imposta. Di contro, il contribuente può invocare, in sede di giudizio, la diretta applicazione di tale disposizione, con la conseguente disapplicazione della norma interna difforme.
Lo studio rimane a disposizione per chiarimenti e assistenza.
Tratto da ecnews.it