Il buono pasto è un mezzo di pagamento (alternativo alla moneta elettronica o al denaro contante) dal valore predeterminato, che può essere utilizzato per acquistare esclusivamente un pasto o prodotti alimentari. Viene comunemente utilizzato dai lavoratori dipendenti o parasubordinati del settore pubblico e privato che lo ricevono come servizio alternativo alla mensa per il personale.
Può essere speso solo in pubblici esercizi come bar, ristoranti da asporto o nelle gastronomie di supermercati convenzionati con le società emittenti i buoni stessi, oppure anche presso negozi di generi alimentari per acquistare alimenti.
Il buono pasto conviene al libero professionista o imprenditore?
E’ stato sollevato il problema se esso possa essere speso non solo dai soggetti suindicati, ma anche dal libero professionista oppure dall’imprenditore (l’agente di commercio, giusto per fare un esempio).
La risposta è affermativa, ma non deve trarre, nell’errore dell’abuso di tale strumento, posto che il suo utilizzo non aggiunge nulla alla classica fattispecie di pagamenti con denaro di alimenti (acquistati o consumati). Infatti, l’utilizzo del buono pasto da parte di tali (ultimi) soggetti non ne cambia la disciplina fiscale che regola la deduzione del costo e la detrazione dell’Iva.
In altre parole, l’utilizzo del buono pasto non ha alcuna differenza (fiscalmente parlando) rispetto alla fattispecie classica di pagamento mediante denaro per l’acquisto di alimenti o di consumazione all’interno di un locale; per meglio intenderci, esso non rende deducibile/detraibile ciò che altrimenti non lo sarebbe.
Le regole IVA
Ai fini Iva, l’Iva sulle spese per somministrazione (anche presso ristoranti) di alimenti e bevande è detraibile in base al principio generale dell’inerenza.
Quella sull’acquisto di alimenti e bevande è invece indetraibile (ad eccezione di quelli che formano oggetto dell’attività propria dell’impresa o di somministrazione in mense scolastiche, aziendali o interaziendali o mediante distributori automatici collocati nei locali dell’impresa).
Ciò vale, quindi, a prescindere dall’esistenza del buono pasto come mezzo di pagamento per l’utilizzatore, sia esso lavoratore autonomo o ditta individuale.
Le regole IRPEF
Ai fini Irpef, occorre distinguere a seconda che la spesa venga fatta da professionista o da imprenditore.
Per i professionisti, l’articolo 54 comma 5, del Tuir stabilisce che: “Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande sono deducibili nella misura del 75% e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2% dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta.”
Per le imprese, non esiste alcuna norma specifica, pertanto vale la regola generale dell’inerenza.
Anche in questo caso la norma che disciplina la fattispecie è identica sia nel caso di buono pasto, sia nel caso di ricevuta per pranzo presso ristorante pagato con denaro.
L’uso dei buoni pasto è fiscalmente utile?
Riteniamo che l’utilizzo personale di buoni pasto da parte dei professionisti/imprenditori permetta una maggiore praticità di gestione della fattura da parte della società emittente e del controllo delle spese dei dipendenti, anche se non presenta maggiori deduzioni/detrazioni rispetto all’acquisto in denaro.
Non deve essere ritenuto che il buono pasto possa essere usato per operazioni (generalmente svolte dai dipendenti) come, ad esempio, il pagamento della classica spesa al supermercato, in quanto tale acquisto è indeducibile ai fini Irpef, e l’Iva indetraibile (come detto sopra), esattamente come lo è nel caso in cui il pagamento avvenga con denaro (cartaceo o elettronico).